3 – U.S.S. Rainbow, il varo (Capitano) - Rainbow web

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3 – U.S.S. Rainbow, il varo (Capitano)

"Sono le ore 06,00"

"Sono le ore 06,00"

"Sono le ore 06,00"

"Ok, computer, grazie."

Era già sveglio da qualche tempo. Attendeva solo il richiamo del computer.
Aveva dormito bene, come al solito, la tensione non gli aveva mai fatto perdere il sonno, si era svegliato bene ed esaltato: finalmente erano giunti, quello era il grande giorno.
Da quando era cadetto in Accademia aveva sognato quegli avvenimenti, sembrava non
dovesse più arrivare ed invece eccolo.
Qualche mese prima aveva rassegnato le dimissioni dal suo incarico precedente, e non avrebbe mai pensato che gli avrebbero assegnato immediatamente il nuovo incarico.

Promosso Capitano e assegnato al comando di una nave nuova fiammante, un incrociatore pesante per esplorazione di classe Akira:

La U.S.S. Rainbow.

Da quando l'aveva vista quasi ultimata nei cantieri di NewAberdeen, su Aldebaran, se ne era innamorato.
Si vedeva che era la sua nave: slanciata, con le gondole ricurve in basso, che gli davano un senso di
aggressività, costruita con modernissimi sistemi, a uncinetto, sotto la supervisione di una cardassiana che sarebbe poi stata assegnata alla sua nave: Una Ruf.
Da tempo erano legati da una forte amicizia e averla in un ruolo chiave, quello di Capo ingegnere, era importante. Il primo tassello di un mosaico delicatissimo era al suo posto.
Dove c'era Una Ruf non lontano doveva esserci quel borg quasi riumanizzato di Y'Edips, per quel ragazzo aveva una sorpresa, lo voleva Primo Ufficiale.
L'impegno e l'abnegazione dimostrata sulla loro vecchia nave doveva portare a quello.
Poco tempo passò e, complice la probabile messa in disarmo della sua vecchia nave e i conseguenti riassegnamenti, buona parte del vecchio equipaggio giunse su Aldebaran ai suoi ordini.
L'ultimo arrivato era stato il timoniere Ammiraglio facente funzione di guardiamarina, al secolo Branniga Mauro, erano al completo.

 Si vestì con calma infilandosi i pantaloni neri della divisa, il lupetto rosso ed infine la giacca grigia e nera. La tirò verso il basso per sistemarla bene ed eccolo, quasi pronto. Già, le scarpe quasi si dimenticava.
Dopo essersi infilato gli stivaletti di ordinanza era pronto, una pettinata ai baffi, si girò con una rapido sguardo passò in rassegna tutta la stanza, ok tutto in ordine si poteva uscire.
Un salto al bar di prora, per il solito the e latte di colazione un saluto veloce all'indaffarata barista, sua moglie e torturatrice di bordo, e poi dritti verso il turboascensore.
Sopratutto nei luoghi angusti come il turboascensore si sentiva quel tipico profumo di nuovo, il movimento era talmente leggero e mancante di vibrazioni che gli sembrava di essere fermo. L'aprirsi delle porte sulla plancia gli fece sospendere tutti i suoi pensieri, un respiro profondo ed un passo avanti, ci siamo!
Sapeva esattamente cosa fare, quando farlo e cosa dire, ma non poteva nascondersi l'emozione che provava, era giunto il momento di fare sul serio: la missione cominciava.
"Capitano in Plancia!" La squillante voce del cadetto Yumass, una Klingon ingegnere appena imbarcata di cui si diceva un gran bene, annunciò il suo arrivo. Avrebbe preferito rimanere ancora un attimo tranquillo a godersi il momento, ma capiva benissimo che ormai quello era il suo momento, il suo dovere.
Fece un passo avanti e tutti si girarono verso di lui, nessuno rideva, come qualche giorno prima. L'aria di festa era stata sostituita da una serietà tranquilla, ognuno sapeva quale era il suo compito e il suo ruolo.
Erano tutti ufficiali anziani, pochi i pivelli emozionati alla loro prima missione.
Ognuno di loro era passato tra mille battaglie e avventure, non sempre indenni; ma erano tutti presenti anima e corpo ad eseguire i suoi ordini.
Sentiva la completa fiducia in lui e in quel suo nuovo ruolo.
Aver vissuto anni spalla a spalla aveva cementato forti amicizie e rispetto reciproco.
Sapeva di potersi fidare ciecamente di quell'equipaggio e loro di lui.
Improvvisamente capì di sentirsi sereno come poche volte lo può essere un uomo nella sua vita, si sentiva parte di tutto l'insieme delle cose.
Fece di nuovo qualche passo avanti e si sedette sulla poltrona di comando, al suo fianco Y'Edips gli fece un cenno d'intesa, tutto era a posto ed in ordine.
Si girò intorno e vide Neverest, alla postazione scientifica, intento ad analizzare in continuazione dati, Ringhioringhio agli armamenti, T. Bak, consigliori di bordo, al suo fianco, Zalak Capo operazioni, anche lui appena promosso, a fianco  del timoniere Branniga.
Tutti aspettavano il suo ordine.
Sapeva che in altre sezioni della nave il Capo ingegnere Una Ruf, aveva
fatto un duro lavoro in quei giorni ma finalmente i motori erano in  linea, L'infermiera Trelenah'k, la moglie Wolverina, la trovarobe H'Elsak tutti erano pronti e in attesa.

"Zalak, apra il canale comunicazioni in tutta la nave"
Voleva che tutti fossero partecipi di quel momento.
"Si, signore"
"Cadetto Yumass, i motori sono in linea?"
" Si, Capitano in linea.”. la voce del Cadetto non era cosi sicura come quella di Zalak, ma sapeva che era normale.
In fondo anche lui bluffava, l'emozione  stava salendo sempre più.
Ora o mai più pensò.
Si girò verso il Numero Uno, un occhiata bastò: era il momento.
"Ci Siamo"
"Ammiraglio Branniga, liberi le morse d'attracco"
"Fatto, signore."
"Avanti, un quarto d'impulso"
L'hangar spaziale dapprima sembrò volerli trattenere e proteggerli dall'oscurità esterna, poi piano piano la nave si mosse in avanti e le stelle furono la luce che li illuminava e che riempiva lo schermo.
Sentì i motori vibrare all’unisono e sentì che la nave stessa aveva voglia di lanciarsi nell'immensità.
E chi era lui per trattenerla?
”Branniga curvatura due.”
"Che rotta Capitano?"
"Prima stella a destra, poi dritti fino al mattino. Dove se no?"
Intuì il sorriso che illuminava la faccia del timoniere e vide con la coda dell'occhio T'Bak e Y'edips ridacchiare.
Erano fuori, sulla loro nave e in quel brevissimo momento, solo in quello, erano padroni del loro destino e lo erano felicemente.
La U.S.S. Rainbow stava sfrecciando silenziosamente nello spazio siderale, lasciando dietro di se una scia con i colori dell’arcobaleno, portando i membri dell’equipaggio là, dove forse nessun gruppo d’amici aveva osato arrivare.
 
 
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