L’anomalia
(Aurin Zalak)
Aurin
Zalak sedeva nel suo ufficio, con le gambe distese sulla scrivania, e
osservava il monitor spento oltre la punta dei suoi stivali. La
penombra della stanza e l’aroma di kanar, che si diffondeva dalla
bottiglia appena stappata, gli inducevano una placida sensazione di
rilassatezza assai prossima alla sonnolenza. Dietro le sporgenti
creste frontali, vorticavano i pensieri e le considerazioni sugli
ultimi avvenimenti…
Erano
passati molti mesi da quando aveva lasciato la gloriosa scatoletta
federale - ormai destinata al disarmo - a cui il Comando Centrale
l’aveva destinato, solo per vedersi riassegnato a un altro vascello
della Flotta Stellare: U.S.S. Rainbow, classe Akira. All’inizio non
era certo stato entusiasta di quel programma di scambio per
ufficiali: non solo gli toccava convivere a braccetto con i
sanguecaldo ma doveva pure prestare servizio su una delle loro
bagnarole. Le luci troppo forti gli offendevano la vista, le
temperature glaciali gli facevano accapponare le scaglie… ma la
verità era che a bordo di quella bagnarola aveva inaspettatamente
ritrovato degli amici e, cosa ancora più intollerabile, si era
affezionato a loro.
“Bah,
mi sto rammollendo…” Zalak biascicò, mentre il sonno gli si
insinuava sotto le palpebre. Allungò la mano e ingollò un generoso
sorso di liquore. I pensieri ricominciarono a fluire.
Era
stato l’allora comandante del Terzo Ordine, Gul Evek in persona, a
contattarlo dopo un seminario all’Accademia Militare di Cardassia
Prime. Il Gul gli aveva ricordato il prezioso aiuto della Federazione
nel rimettere in piedi l’Unione, l’importanza della distensione
con il vecchio nemico e, in un generoso tentativo di solleticare
l’entusiasmo di Zalak, i gravi problemi di salute in cui potevano
incorrere i suoi familiari dopo un soggiorno nelle prigioni di stato.
Insomma, il programma di scambio doveva essere attuato e il Comando
Centrale voleva che fosse proprio Aurin Zalak il primo ufficiale
cardassiano a bordo di una nave della Flotta Stellare.
“Dannato
Evek!” Aurin digrignò i denti. L’unica sua consolazione era che
il povero nonno del Gul adesso era parte integrante delle fondamenta
in cemento dei grandi magazzini Damar, su Cardassia Prime.
In
realtà il trasferimento sulla nave di classe Akira, eccezion fatta
per le condizioni climatiche, non era stato così terribile come
temeva. A bordo aveva cementato molte amicizie (così come aveva
fatto col nonno di Evek) e trovato compagni di viaggio eccezionali:
Klingon, Umani, El-Auriani… persino un Borg separato dal Collettivo
che si accompagnava - sia lode a Dukat - a una Cardassiana.
Il
loro viaggio era appena agli inizi: avevano gli occhi colmi di
meraviglie, il cuore gonfio di entusiasmo e la testa affollata di
progetti… ma qualunque pericolo o avventura, qualunque gioia o
dolore, sapevano che lo avrebbero condiviso insieme.
Aurin
Zalak si stiracchiò le gambe sulla scrivania e mandò il bicchiere
ormai vuoto a ruzzolare sulla moquette del pavimento. Già da dieci
minuti avrebbe dovuto prendere servizio in plancia. Aurin si accomodò
sulle spalle l’armatura cardassiana – indubbiamente più marziale
di quei pigiami colorati dei federali – e, dopo essersi affibbiato
gli stivali, si diresse al turboascensore.
Quando
fece il suo ingresso, la plancia era immersa in un silenzio
innaturale, interrotto soltanto dal sommesso ronzio delle console.
Branniga se ne stava stravaccato sulla poltrona del comando: il
Capitano Saint’Vito si era ritirato nella sua Sala Tattica e aveva
lasciato a lui la plancia. Zalak oltrepassò l’Ammiraglio,
dirigendosi alla sua postazione, ma una strana sensazione di disagio
lo assalì all’improvviso e lo costrinse a fermarsi. Quella
poltrona… quella maledetta poltrona vuota…
Non
era neanche un mese che il Primo Ufficiale Y’edips era scomparso
senza lasciare traccia. Il Comando di Flotta riteneva che le
conoscenze che il Borg aveva assimilato all’interno del Collettivo
fossero inestimabili per la mappatura di una singolarità quantica,
ai confini con lo spazio cardassiano. Il Comando Centrale aveva fatto
pesare tutta la sua influenza, per scoraggiare quella missione
dall’esito potenzialmente fatale, ma l’Ammiraglio Novak era stato
inamovibile: i vantaggi compensavano ampiamente i rischi - sosteneva
- e solo la particolare struttura biologica borg avrebbe sopportato
gli sconvolgimenti in atto in quella lacerazione del continuum
spazio-temporale. E così aveva inviato Y’edips, solo e su una
navetta praticamente priva di armamenti, all’interno della
singolarità. La folle curiosità di Novak era stata ricompensata
solo da una spettacolare esplosione di energia: tentacoli di scariche
multicolori avevano avviluppato la navetta in un abbraccio mortale e,
quando la singolarità era implosa con un bagliore accecante, tutto
ciò che restava era la solitudine della distesa cosmica. Per quasi
una settimana la U.S.S. Rainbow aveva scandagliato la zona palmo a
palmo, invano. L’Ammiraglio di Flotta Branniga ruggiva come un
leone mentre deferiva alla Corte Marziale il pallido e tremante
Novak. La povera Una Ruf, furente e disperata, si era rinchiusa nei
suoi alloggi. Tutto l’equipaggio sembrava sconvolto e incapace di
accettare la scomparsa di Y’edips. Il Capitano Sairo coordinava le
ricerche con caparbia ostinazione e tutti, contro ogni evidenza,
incuranti di quanto tempo sarebbe stato necessario, sapevano e
speravano che un giorno si sarebbero riuniti nuovamente. Aurin, dal
canto suo, premeva senza sosta con il Comando Centrale perché
fornissero appoggio logistico e tattico, ma Cardassia non si sarebbe
mossa in aiuto di chi aveva così stolidamente ignorato i suoi
avvertimenti. Tipico pragmatismo cardassiano…
“Va
tutto bene, Aurin?” Branniga lo osservava accigliato, con la testa
reclinata da un lato.
“Eh…?
Come...? Sì, certo, tutto bene!” Aurin si voltò di scatto e si
accomodò alla sua console, affrettandosi a piegare il capo sulle
strumentazioni.
“Per
la barba di Macet! Perché mi preoccupo tanto per quel pupazzetto
intubato?” Zalak snocciolava imprecazioni come fossero un rosario
bajoriano, ma in realtà sapeva benissimo perché si sentiva così. I
primi approcci con il Borg erano stati un po’ burrascosi - colpa di
Y’edips, non c’era dubbio! Come si poteva non adorare il
carattere timido e mansueto di Aurin? - però, a poco a poco, Zalak
aveva scoperto una persona completamente diversa, sorprendentemente
più simile a lui di quanto non immaginasse… un vero e prezioso
amico.
Un
giovane Guardiamarina che occupava temporaneamente la console delle
comunicazioni, si voltò di scatto verso Branniga.
“Signore,
un messaggio automatico proveniente da un punto imprecisato dello
spazio cardassiano, lungo il confine. Sembra una richiesta di
soccorso!”
“Sullo
schermo” Branniga allungo istintivamente una manona in avanti.
“E’
una richiesta solo audio, signore. La trasmetto ora”
Gli
altoparlanti della plancia sfrigolarono di statica:
“U.S.S.
Rainbow NCC 12004 - Qui è la navetta ‘Empty Sahara 01’ alla
deriva nello spazio siderale.
La navetta è stata attaccata dai
Pirati di Orione e ha subito ingenti danni strutturali.
Integrità
strutturale : prossima al collasso
Scudi
: al minimo
Supporto
vitale : in modalità emergenza
Forme
di vita rimaste : una
Classe
: Borg
Segni
vitali : privo di conoscenza, ferite multiple non letali, in stato di
amnesia.
Ultima
assegnazione recuperata nei file di registrazione risulta essere la
U.S.S. Rainbow.
Si richiede intervento di recupero di priorità 1
Fine
messaggio”
La
plancia esplose in un boato di grida entusiaste. Zalak scattò in
piedi, rovinandosi entrambe le rotule sul duranio della console.
“Porca
paletta!” esclamò l’Ammiraglio Branniga, e ruzzolò giù dalla
poltrona.
“Cosa
diavolo sta succedendo?” chiese il Capitano, affacciandosi dalla
porta della Saletta Tattica.
L’addetto
alle comunicazioni si affrettò a ritrasmettere il messaggio, mentre
Branniga si ricomponeva e lasciava la poltrona al Capitano Sairo.
“Molto
bene” la voce di Saint’Vito sovrastò il clamore generale e
riportò l’ordine in plancia “Timoniere, faccia rotta per lo
spazio cardassiano. Signor Zalak, cerchi di contattare il Comando
Centrale e comunichi loro la situazione.”
“Forse
non sarà necessario” il Tenente Ringhio sputò per terra “Due
navi di classe Galor in rotta di intercettazione, Capitano!”
“Una
nave cardassiana ci sta chiamando”
Zalak
si alzò in piedi e osservò il suo Capitano, che se ne stava
placidamente seduto con gli occhi fissi in avanti. Il visore sfrigolò
e sostituì alla piatta distesa del cosmo l’immagine di una plancia
cardassiana. Su una piattaforma elevata, come era consuetudine, stava
seduto il Gul con una gamba ciondolante dal bracciolo.
“Salute,
amici federali” il volto ossuto del Cardassiano si illuminò di un
sinistro sorriso “Sono Gul Lovak, responsabile del pattugliamento
dei confini in questa zona di spazio. Sembra che siate
pericolosamente vicini a invadere il nostro spazio: debbo dunque
arguire che sia necessario vaporizzarvi?”
“Niente
di così drastico, spero” il Capitano Sairo sorrise di rimando al
Gul “Sono il Capitano Saint’Vito, della U.S.S. Rainbow, e la
nostra è solo una missione di soccorso e recupero. Non abbiamo
alcuna intenzione…”
“So
bene chi è lei, Capitano. E so bene che i vostri siluri e i vostri
phaser portano ben poco soccorso, come ho constatato io stesso.”
Lovak si accarezzò una profonda cicatrice che gli solcava la cresta
frontale spaccata e un occhio innaturalmente bianco e lattiginoso
“Comunque, credo che questo cucciolo smarrito sia vostro…”
Due
Cardassiani entrarono nel campo visivo dello schermo, spingendo in
avanti Y’edips.
“Il
cucciolo è in stato comatoso ma illeso,” aggiunse Gul Lovak “anche
se, vista la sua razza non proprio pregiata, vi consiglierei di
abbatterlo al più presto. Comunque sia, è vostro: provvederò a
teletrasportarlo a bordo della vostra bella nave, non appena ci
invierete le coordinate. Considerala una dichiarazione di buoni
propositi, Saint’Vito, ma un giorno, quando Cardassia estinguerà
il suo debito di gratitudine, forse non sarò così generoso.”
Lo
schermò si oscurò, poi cambiò immagine su due incrociatori da
battaglia di classe Galor in rapido avvicinamento.
Due
giorni dopo il Comandante Y’edips giaceva in un letto
dell’infermeria, finalmente cosciente e in perfetta salute fisica.
I naniti borg avevano ripristinato le sue funzioni vitali, mentre per
quanto riguardava la memoria… beh, per quello c’era tempo. Zalak
osservò il suo amico e gli appoggiò una mano sulla spalla, pieno di
gratitudine. Poi incrociò lo sguardo con il Capo Ingegnere Una Ruf –
che aveva vegliato Y’edips fino al suo risveglio – e le sorrise.
Era dannatamente bello riaverli di nuovo a bordo insieme. Ad Aurin
non sfuggirono le occhiate languide che i due continuavano a
scoccarsi di sottecchi, così decise di levarsi dai piedi. Attraversò
l’infermeria con passo marziale, scambiò due parole con la
Dottoressa Trelenah’k - troppo impegnata ad arroventare due
tenaglie su una fiamma, davanti agli occhi atterriti di un paziente
con un’unghia incarnita – e se ne uscì fischiettando. Appena le
porte del suo alloggiò si spalancarono, il Cadetto Yumass gli gettò
le braccia al collo e gli stampò un bacio rovente sulle labbra.
Aurin ricambiò con passione.
Klingon,
Umani, El-Auriani, perfino un Borg con una Cardassiana… che grande
nave e che compagni di viaggio eccezionali!